Il nome della lingua

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Note lessicali

Il nome della lingua

[parole chiave: vigatese]

Inventata una lingua, Camilleri impiega molto tempo a definirla con un nome proprio, “vigatese”, omografo rispetto al sostantivo e aggettivo “vigatese” che designa tanto chi è nato o risiede a Vigàta, quanto ciò che a Vigàta appartiene o a quel piccolo centro è relativo.

Con una differenza, rappresentata dall’accento che non compare quando l’Autore intende dire della lingua, mentre si manifesta in maniera altalenante nell’altro caso; ad es.: “mai, proprio mai, il mare ebbe tanti occhi vigatesi su di lui a taliarlo e ritaliarlo” FF 94; “trentadue barche da pesca stracolme di vigatesi” FF 98; “Inglesi, francesi, tedeschi, borbonici e vigatesi” FF 99; “Le femmine vigatesi” FF 116; “era diventato più vigàtese dei vigàtesi” SC p. 18; “una mano consistente gli era stata data dai vigatesi stessi” FA 11; “Le aragoste vigatèsi” CTL 94; “Testardaggine dei vigatèsi” BP 81 (ma nel Birraio di Preston troviamo anche: “Mi spiega per quale amatissima minchia lei è amminchiato a imporre ai vigatesi la rapprisintazione di un’opera che i vigatesi non si vogliono agliuttìri?” BP 43). E si potrebbe continuare con gli esempi.

Tardiva, e probabilmente unica, è l’attestazione in un romanzo di “vigatese” inteso come lingua: “«Picciotti, non scassatimi i cabasisi cu ’sta storia» fici irritato e squasi minazzoso Licausi. Era tornato al vigatese. La cosa si faciva ’nturciuniata” RIC 36; “«Livia, ma pozzo sapiri che minchia ti passa per il ciriveddro?». «Non dire parolacce e non parlare in vigatese!»” RIC 113.

Mentre Camilleri ricorre al glottonimo nella premessa a Esercizi di memoria (“Non potendo dettare in vigatese, allora la gentile Isabella Dessalvi si è prestata a venire ogni mattina a scrivere i miei ricordi” EM 9), e in due occasioni che meritano di essere segnalate.

La prima in ordine di tempo risale al 2012 ed è rappresentata dalla conversazione con Lorenzo Rosso raccolta sotto il titolo Una birra al Caffè Vigàta. In quella circostanza Camilleri usa un tono che potrebbe essere definito perentorio, quasi volesse risolvere la questione, imprimendo il suo marchio di fabbrica: “Insomma, a Vigàta si parla una particolare forma di dialetto che si potrebbe chiamare, con buona pace di tutti, il vigatese!” BCV 31.

La seconda (siamo nel 2013) è resa solenne dal contesto in cui è espressa, ovvero dalla presenza di Tullio De Mauro, parlando col quale Camilleri afferma: “Del resto, anche nei romanzi scritti in vigatese parto sempre da una struttura molto solida in lingua italiana” LBDD 77.

Sulla base di tali elementi, possiamo concludere che, per quanto concerne il glottonimo, la volontà dell’autore è rappresentata dalla grafia “vigatese” (g.m. gennaio 2021).