Sancho Panza

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Schede contestuate

Sancho Panza  

C’è una sequenza cronologica (forse casuale, ma è meglio non dare niente per scontato) sulla quale vorrei fermare l’attenzione.

Nel 2007 Camilleri pubblica Pagine scelte di Luigi Pirandello che comprende La tragedia di un personaggio, novella del 1911, il cui tema troverà sviluppo nel testo teatrale Sei personaggi in cerca d’autore, del 1921. In entrambe le opere, il dottor Fileno e il Padre, trattando dell’autonomia e della vitalità di un personaggio nei confronti del suo autore, citano Sancho Panza: “Chi nasce personaggio, chi ha l’avventura di nascere personaggio vivo, può infischiarsi anche della morte. Non muore più! Morirà l’uomo, lo scrittore, strumento naturale della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna, non ha mica bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Mi dica lei chi era Sancho Panza! Mi dica lei chi era don Abbondio! Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire per l’eternità” (L. Pirandello, La tragedia di un personaggio, PSLP 199); “Nel senso, veda, che l’autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non poté materialmente, metterci al mondo dell’arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna, non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza! Chi era don Abbondio! Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l’eternità” (L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, PSLP 346).

Nel 2009, in La danza del gabbiano, troviamo Salvo Montalbano che riflette sull’indagine in corso e sulle ipotesi di comportamento da seguire, una più azzardata e una più prudente: “La cosa più giusta è la prima che ha pensato, non ha più l’età di fare l’eroe, di mettersi a combattere contro i mulini a vento” (DG 241).

Potremmo pensare che la locuzione ‘combattere contro i mulini a vento’ sia d’uso comune e non implichi la conoscenza della sua origine letteraria: ma Montalbano, e il suo Autore, molto hanno letto e quel patrimonio custodiscono nella memoria, così che non ci stupiremo nel trovare, poche righe più avanti, l’esplicita citazione della fonte, con un’aggiunta per noi interessante: “’Nzumma, un cori d’asino e uno di lioni. Ah, a proposito d’armali, com’era quella storia delle pecore che aviva liggiuta nel Don Chisciotte? Ah, sì, ecco. Sancho accomenza a contare a Don Chisciotte la storia di un picoraro che deve far passari un fiume alle sò tricento pecori. Le traghetta una per volta con una barchetta priganno a Sancho di tiniri il conto dei viaggi e avvirtennolo che se si sbaglia, il racconto s’interrompe. Infatti Sancho sbaglia e non è più capace di continuare a contare come va a finire la storia a Don Chisciotte” (DG 241-242).

Un innocente ricordo di un classico della letteratura mondiale? Ma neanche per sogno: lo comprendiamo leggendo la frase successiva a quella citata e che, come avveniva nei testi di Pirandello, ci proietta nel rapporto tra autore e personaggio, assegnando a Montalbano un ruolo ben più ampio di quello che normalmente spetta a un personaggio: “Che maraviglia se lui non fosse stato più capace di contare la storia a Camilleri!” (DG 242).

Il dialogo a contrasto tra Camilleri e Montalbano, che era iniziato in un racconto di Gli arancini di Montalbano (1999), aveva avuto sviluppo in Il campo del vasaio (2008) e, come abbiamo visto, in La danza del gabbiano, culminerà nel drammatico finale di Riccardino (2020). Ma questa, come suole dirsi, è un’altra storia, sulla quale occorrerà tornare, come è evidente al solo ragionare sulle date: perché è vero che Riccardino è stato pubblicato nel 2020, dopo la morte dell’Autore, ma è altresì vero che la sua prima stesura è del 2005, quindi prima di Pagine scelte di Luigi Pirandello, quando, con evidenza, la riflessione sul rapporto tra autore e personaggio era già in corso, da tempo e, per un attento lettore del tragediografo agrigentino, forse da sempre.

Qui, per concludere con lo scudiero iberico, basterà osservare che il nostro autore sembra voler togliere pathos alla presenza di Sancho Panza nelle sue pagine, garantendogli una successiva entrata in cui lo presenta, insieme a Don Chisciotte e richiama l’attenzione sulle loro fisionomie, rese divertenti dall’accostamento voluto da Miguel Cervantes: “Niscì, chiuì, votò le spalli e vitti avanzare nel corridoio a dù che parivano Don Chisciotte e Sancho Panza. Uno era sicco sicco e allampanato e l’autro curto e tunno come a un varilotto” (RP 159) (g. m. febbraio 2022).